Anno VIII – N.1 marzo 2009

La mano della festa
Dalla fatica del lavoro al ricamo dipinto sulla pelle

Da molto tempo abbiamo deciso che il nostro ruolo è quello di promuovere la cultura, quindi di non fare politica. Tuttavia non possiamo rimanere indifferenti al groviglio di parole, azioni e relative conseguenze che si stanno abbattendo sull’attuale condizione migratoria nel nostro paese. Senza buttarci nella mischia abbiamo deciso di dare anche noi la nostra risposta a ciò che ci accade attorno. E la nostra risposta è la mano di una donna immigrata disegnata con la polvere di Hennè (Lawsonia inermis essicata), la tradizionale pittura usata dalle donne africane, siano esse arabe o di altri paesi del grande Continente. La bella mano che vi presentiamo è una mano che lavora, ma quando c’è un matrimonio, un battesimo o un’altra occasione lieta viene trasformata assumendo l’aspetto di una decorazione, decorazione che ha la capacità di restare tatuata una ventina di giorni per esprimere gaiezza, felice abbandono, insinuante attrazione amorosa. I disegni, connubio fra tradizione e fantasia, sono diversi a seconda dell’età della donna che li usa e dalle occasioni. Ma la nostra copertina ha un ulteriore significato. Abbiamo scelto una mano aperta non solo per far vedere l’armonia del disegno, ma anche perché una mano testa ha molteplici significati oltre a quelli esposti. Significati che invitiamo a leggere secondo indirizzi culturali che portano alla civiltà della tolleranza, dello scambio, dell’accoglienza, nel rispetto delle reciproche appartenenze e differenze. Ti do una mano? Lo diciamo spesso ai nostri cari, a chi amiamo. Prendiamola allora questa mano per intraprendere nuove strade culturali verso la collaborazione, la condivisione, la solidarietà, trasferendo idealmente nella nostra mano il disegno con l’Hennè che possa indicare un comune destino di rinnovo, nella pace e lontano da retorica e violenza.
Ludovica Cantarutti

Gli Armeni a Pordenone
Prevista una mostra in giugno

Sarà il popolo armeno, o meglio l’eccidio degli Armeni avvenuto nell’ambito del Primo conflitto mondiale del 1914-1918, esattamente fra il 1915 e il 1923, il prossimo progetto dell’Associazione “via Montereale”. Su questo argomento, delicatissimo e che coinvolge intrecci internazionali non da poco, ci sarà a Pordenone, nel giugno di quest’anno, una mostra con il materiale fotografico realizzato da Armin T. Wegner, scomparso nel 1978 che ha dedicato tutta la vita alla questione del popolo Armeno. L’evento, realizzato con il patrocinio del Comune di Pordenone sarà occasione di riflessione per un accadimento non ancora riconosciuto ufficialmente dalla Turchia, uno dei prossimi Paesi ad entrare in Unione Europea. Il 24 aprile 1915 tutti i notabili armeni di Costantinopoli vennero arrestati, deportati e trucidati. Era il via al primo genocidio del XX secolo. Tuttavia, già negli ultimi anni dell’Ottocento c’era stata una tremenda avvisaglia con l’eliminazione di circa tremila armeni. Le rappresaglie non erano mancate ancora prima del 1915 anche con un’opera sistematica di deportazione degli armeni verso il deserto di Der-es-Zor. Oltre alla deportazione c’era la chiamata degli adulti maschi a prestare servizio militare e poi, invece, passati per le armi.

Durante l’esposizione, che si terrà nel chiostro superiore dell’ex convento di San Francesco, a Pordenone, si alterneranno alcuni eventi culturali di approfondimento.

Bilal: l’altra faccia della migrazione
Il giornalista Fabrizio Gatti inizia ad occuparsi dal 1991 di temi legati alla criminalità con una serie di inchieste vissute che lo portano in Moldavia, Romania, Albania, Egitto, Marocco, Tunisia, Niger, Mali, Senegal e Venezuela. Viaggi che ripercorrono le tappe delle vittime di prostituzione, lavoro nero ed immigrazione clandestina. Scrive per il Corriere della Sera e dal 2004 per L’espresso. Nel 2007 riceve a Bruxelles il premio giornalistico 2006 dell’Unione Europea per il servizio “Io schiavo in Puglia” sugli immigrati impegnati nella raccolta di pomodori. Nel 2007 pubblica il romanzo “Bilal” e l’anno dopo riceve il premio letterario internazionale Terzani. Bilal Ibrahim el Habib è nato nel ‘70 in un villaggio del Kurdistan iracheno. Viaggia in cerca di lavoro con profughi del Darfour ed altri provenienti da Paesi sconvolti dalla guerra su vecchi camion che da Agadez in Niger raggiungono la sponda del Mediterraneo attraverso Tenéré e Sahara. Molti torneranno indietro privati anche dei sogni. Sui clandestini vive chi governa i trasporti, trafficanti di droga e sigarette, padroni di taxi, militari. Quest’ultimi derubano sistematicamente dei loro averi le persone in transito. Si stima che l’esercito e la polizia dedicati alle operazioni di controllo di chi attraversa il deserto guadagnino una cifra tra 1,5 e 2 milioni di euro al mese. La tangente ad un poliziotto libico per non vedere un barcone in partenza è di 5.000 dollari. Da Tripoli Bilal assiste alla partenza di un peschereccio pieno di clandestini: il 12 per cento di quelli che si imbarcano in Libia muore durante la traversata. Tutto questo mentre i governi di Libia, Italia, Egitto si palleggiano responsabilità. temporanea a Lampedusa.
Marina Stroili

Questione di codici
“Qualità della vita o vita di qualità? di Giacomo De Nuccio Qualche tempo fa, visitando la mostra “Misurare il desiderio infinito? La qualità della vita” presso l’ospedale della mia città, mi sono trovato a dover contenere una ridda di emozioni e il desiderio prepotente di gridare “Eccomi qui! Io sono il “caso”concreto, una prova vivente delle verità che il medico che ci fa da guida sta enunciando e l’esempio chiaro ed evidente che, se sulla teoria si può essere d’accordo in molti, l’applicazione di suddetta teoria risulta difficile e controversa e comunque richiede necessariamente il riconoscimento del “caso”. Per fortuna, anche se la parola (almeno quella scritta) non mi manca, non parlo e così ho evitato una probabile accusa di megalomania ed ho avuto modo di riflettere su quanto ho visto e ascoltato. La mostra metteva in evidenza che a tutti indistintamente può capitare, per un qualsiasi “imprevisto” o anche solo per il trascorrere del tempo, di trasformarsi da persona in paziente, caso, soggetto e di perdere, insieme alla libertà, non solo i più elementari diritti, ma anche e soprattutto il desiderio di portare avanti una vita che della vita è solo l’ombra; tutti indistintamente siamo chiamati (prima o poi potremmo essere il soggetto che soffre) a prestare aiuto; bastano pochi essenziali accorgimenti per dare sostanziale qualità alla vita di ognuno e in particolare alla vita di chi, suo malgrado, deve affrontare l’imprevisto. Tra tutte le interessanti cose, suggerimenti, raccomandazioni, una considerazione in particolare mi ha trovato pienamente d’accordo: la medicina migliore è quella che tra i suoi eccipienti non comprende la solitudine e questo vale per tutti. Solitudine è un telefono che non squilla, una lettera che non arriva, un abbraccio mancato, un sorriso negato, parole non dette che urlano nel vuoto di una stanza piena di assurdi pensieri, è la vita che scorre parallela ai nostri sogni e consuma i nostri desideri. Non credo si possa misurare la qualità della vita di nessuno secondo un pacchetto preconfezionato di attributi, l’individualità ha sempre un prezzo da pagare, ma sono convinto che la vita, quella di qualità, non possa mancare di condivisione, anche per chi, come me, un imprevisto che ha nome autismo lo ha incontrato prima di nascere e sembra essere solitario per scelta. La saggezza di un antico proverbio recita“Meglio soli che male accompagnati”, personalmente nella favola della vita preferisco recitare la parte dell’uva piuttosto che quella della volpe.
Giacomo De Nuccio (testo scritto con la tecnica della Comunicazione Facilitata)

Sahara, Acqua, Popoli e Confini
Convegno ad Ortona

La nostra associazione ha partecipato al convegno internazionale promosso dall’Osservatorio Mediterraneo di Ortona per conoscere lo stato delle risorse e questione economica tra emigrazione, nomadismo e sedentarismo nel Sahara. Tra gli ospiti Vanni Beltrami dell’ISIAO (Istituto Italiano per l’Africa e l’ Oriente) e consulente del Ministero degli Esteri che ha illustrato le culture del Sahara antico e moderno, il poeta marocchino Mohamed El Khayat con una sintesi su un Sahara fra letteratura ed immaginario. Sono stati presentati, inoltre, i risultati del progetto “La Khettara di Hassi Labiad” portato a compimento dall’OM. Alessandro Massacesi che ha illustrato il contesto politico, economico e geografico delle popolazioni che si affacciano su Sahara, mentre Giovanni Marchionna ha spiegato le finalità rivolte all’integrazione euro-mediterranea, della cooperazione tra associazioni, della diffusione di informazioni riguardanti le questioni economiche e sociali che attanagliano i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Infine, la nostra associazione ha illustrato i progetti fin qui realizzati a favore del popolo Tuareg in Niger, in collaborazione con Regione Friuli Venezia Giulia e Comune di Pordenone. Alla fine del convegno è nato un accordo fra Associazione “via Montereale” e Osservatorio Mediterraneo per sviluppare il Microcredito fra le donne Tuareg del Niger.

Presentiamo il volume dell’immunologo Guy Beretich
Neuroalimenti
Piccolo compendio

È un piccolo compendio quello scritto da Guy Beretich, originario di Pordenone, ma che vive e lavora negli Stati Uniti da vent’anni. Un piccolo compendio dove descrive un approccio sistematico all’alimentazione basata sull’uso di alimenti adatti a migliorare la salute mentale ed il comportamento, ma che può anche eliminare le smanie, aiutare a dimagrire, ad aumentare la performance mentale, aiutare l’autismo, l’insonnia ed altre situazioni critiche. Beretich, immunologo e biotecnologo, laureato presso la North Carolina University ha studiato e illustrato soprattutto quattro sostanze fondamentali, il triptofano, la betaina, la colina e la serotonina fornendo le tabelle dei maggiori alimenti che contengono queste sostanze in modo da permettere ad ognuno di avviare un regime alimentare appropriato. Si scopre così che il triptofano serve nella depressione, nel disturbo bipolare, nell’autismo e nel disturbo ossessivo-compulsivo. La betaina è utile nel disturbo bipolare e nella schizofrenia e nell’autismo, mentre la colina è l’ideale nel disturbo bipolare. Il piccolo compendio tradotto in italiano non si trova nelle librerie, ma è possibile richiederlo presso l’Associazione “via Montereale” al numero 0434 363255. Il volume è stato presentato a Pordenone nello scorso dicembre.

“Golosità senza glutine”
Il nuovo libro di Teresa Tranfaglia

Teresa Tranfaglia “Golosità senza glutine”
Macro Edizioni – Cesena 2008
La celiachia, ovvero l’intolleranza permanente al glutine, richiede a coloro che ne soffrono e alle loro famiglie un forte impegno di educazione alimentare. Eliminare dalla dieta i cereali che contengono glutine è l’azione più efficace per ritrovare la salute. Questa decisione comporta importanti modifiche delle abitudini alimentari e il rischio di perdere il gusto della tavola. Teresa Tranfaglia è un’esperta di macrobiotica e alimentazione naturale che da molti anni si occupa di celiachia. Nel suo nuovo libro “Golosità senza glutine” regala ai lettori un ricco ventaglio di gustose ricette, dalle prime colazioni ai più deliziosi dessert, per offrire al celiaco, e non solo, un’alimentazione varia, sana e naturale. I prodotti consigliati sono quelli biologici, da reperire preferibilmente nei centri di alimentazione naturale e le ricette, tutte rigorosamente prive di glutine, zucchero bianco, latte e formaggi di derivazione vaccina, riportano anche utili consigli sull’utilizzo di stoviglie realizzate con materiali non tossici. Il testo, che riserva ampio spazio anche alla cucina vegetariana, è arricchito da schede informative su diverse specialità alimentari che aiutano a ristabilire l’equilibrio biologico. Negli ultimi tempi la dieta senza glutine sta suscitando grande attenzione e interesse da parte dei ricercatori, che hanno riconosciuto gli effetti positivi di questo regime alimentare non solo nei celiaci, ma anche nelle persone affette da malattie legate al mancato funzionamento del sistema immunitario come artrite reumatoide, diabete, sclerosi multipla, malattie neurologiche, tiroiditi o altre patologie come obesità, emicranie, dismetabolismi, sterilità, infertilità, anemia, stanchezza cronica e stitichezza.

Parliamo di Qi Cong
La disciplina che viene dall’Oriente

L’Associazione “Terrauomocielo” di Pordenone si occupa soprattutto di Qi Cong ed anche di “percorsi di salute”, dando spazio alle medicine non convenzionali naturali. La traduzione del termine Qi Cong son molte. Qi è l’energia presente in ogni manifestazione della vita. Cong è il lavoro nel tempo, la perseveranza, l’allenamento, la maestria. Il Qi Cong è una disciplina semplice, semplice per sua essenza, sebbene antica e legata alla medicina tradizionale cinese di cui è parte integrante. Deriva da un intimo legame tra uomo e natura e la natura terra uomo e cielo sono considerate le tre potenze: l’uomo si libra verso il cielo, vive sulla terra e da cielo e terra trae il suo nutrimento. Corpo-mente-spirito, un insieme in cui tutte e tre le componenti devono essere in equilibrio. Potremmo anche definirlo come un viaggio di conoscenza e consapevolezza che ci aiuta a trovare e sentire i nostri punti di forza e di debolezza, sia fisici che emotivi. Tutti possono praticare il Qi Cong. I suoi gesti sono lenti, rotondi ed armoniosi, in una situazione di rilassamento muscolare e concentrazione mentale. L’attenzione è sulla postura e sul respiro. Il Qi Cong è uno strumento per chi vuole prendersi cura di se stesso. É come se simbolicamente ritrovassimo la nostra collocazione tra la terra ed il cielo e riprendessimo contatto con gli altri modi di sentirci bene, di sentirci vitali. Il Qi Cong lavora sui blocchi fisici ed energetici, aiutandoci a capire che la guarigione è accettazione, è l’abbandono del bisogno di controllare la vita, accettando che ciò che vorremmo non sempre è la cosa giusta per noi. Gli orientali dicono che ogni prova, ogni dolore è una grande opportunità da cogliere per cambiare ed evolvere. Il Qi Cong, infine, è uno degli strumenti che ci aiutano a percorrere questo cammino. É il recupero di una relazione diversa con il nostro corpo, fatta di lavoro nel tempo e di ascolto.
di Laura Guerra (*Presidente Associazione Terrauomocielo Pordenone)

www.terrauomocielo.it
info@terrauomocielo.it

Conosciamo il Rwanda

Piccola corrispondenza
Nel distretto di Bugesera, regione storica del Rwanda che copre un’estensione di 1392 kmq nel sud-est del Paese al confine con il Burundi, c’è il territorio della Parrocchia cattolica di Ruhuha: 402 kmq (poco meno della provincia di Gorizia) con circa 120.000 abitanti. La maggioranza di questa popolazione vive seminata nella verde campagna collinare tanto in piccoli villaggi di casette in mattoni tradizionali con copertura in lamiere ondulate, quanto in isolate capanne col tetto di paglia. Seguendo il ritmo naturale del sole e delle stagioni si nutrono per lo più di quanto produce la terra. E le mucche, per chi le possiede. Se escludiamo gli allevatori tradizionali il patrimonio di una normale e numerosa famiglia di agricoltori consta di uno o al massimo due capi; sono mucche da latte, per la carne e le proteine ci sono capre, galline e fagioli. Il latte è tuttora un alimento base nella dieta della popolazione rurale: esili vecchietti dallo sguardo ancora vivace sostengono di essere vissuti sani e forti sino ad oggi nutrendosi essenzialmente di latte. Tuttavia, possedere un’animale non è alla portata di tutte le famiglie: un buon esemplare selezionato che garantisca 10 litri di latte al giorno costa circa 500 euro per ogni capo ci vogliono minimo 40 are coltivate a foraggio e un litro di latte si vende sul mercato interno a 0,20/0,25 euro. Per favorire lo sviluppo sia in termini numerici che qualitativi dell’allevamento esiste un progetto su scala nazionale iniziato proprio nel distretto di Bugesera che, a fronte di un finanziamento di circa 600 euro per l’acquisto di una mucca tradizionale, impegna il nucleo familiare, o comunque il beneficiario, a costruire la stalla nel caso non esista, a coltivare a foraggio una superficie adeguata di terreno ed a rimborsare il prestito in quattro anni a partire dalla prima produzione di latte. Il Progetto Girinka (da GIR = possesso e INKA = mucca) a prima vista potrebbe offrire una vantaggiosa opportunità ma, a conti fatti, non risulta alla portata dei più che in ogni caso devono affrontare gli oneri per la costruzione della stalla (circa 500 euro), per i 3/4 processi di inseminazione artificiale per ottenere un esemplare di qualità (30 euro ciascuno) e per l’acquisto di un terreno oppure convertire la coltura. Lo scambio “latte-perforaggio” è perseguibile con una gestione di minimo cinque capi. In rapporto al misero reddito di un agricoltore possedere una mucca è quasi indice di ricchezza. Il “ Paese delle mille colline” detto del Rwanda, suggerisce immagini d’incanto ma proprio in questo sta anche il suo problema di base: i bacini idrici naturali scorrono e giacciono nel fondo delle sue valli. Un’economia prevalentemente agricola, priva delle infrastrutture e delle tecnologie minime che questa attività richiede, necessita della generosità del suo terreno e del suo clima. Cosa che di questo territorio non si può dire. (Continua nel prossimo numero)
Paolo Magnavacca