2007

Anno VI – N.3 settembre 2007

La scuola di mattoni in Niger è realtà
L’Associazione “via Montereale”, dopo aver dato il via con fondi autonomi nell’autunno 2006 ad una scuola situata in località Abardac, ad un centinaio di chilometri da Agadez (Niger), e frequentata già da subito da oltre cinquanta allievi, nonostante fosse realizzata con materiale provvisorio (paglia), nel mese di aprile 2007 ha iniziato i lavori di costruzione in mattone di argilla per una struttura scolastica stabile ed anche per l’abitazione del maestro. La scuola del Ouadi Tissumma, dedicata a Scilla Raffin che ne è madrina, riprende dunque dopo la vacanze estive con una serie di grosse novità: da quest’autunno le lezioni si svolgono in un edificio in muratura. E’ infatti terminata la prima tranche dei lavori di costruzione dell’aula. Edificate in mattoni di argilla, la prima parte della scuola e l’abitazione del maestro sono state poi perfettamente intonacate. Gli edifici sono stati realizzati secondo le norme previste dal governo nigerino per l’omologazione ufficiale. Qui il maestro ha iniziato le lezioni, quest’anno con una classe in più di allievi ed allieve del primo anno. L’impegno dell’Associazione è di costruire anche una seconda aula, i servizi igienici e la mensa. Nel frattempo Via Montereale, che partecipa al Tavolo del diritto all’acqua istituito dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ha portato a termine i lavori previsti dal progetto presentato e finanziato con fondi regionali per la realizzazione di tre pozzi, due agricoli ed uno per bere. I siti di perforazione sono stati identificati in accordo con l’Associazione Mondo Tuareg e la Cooperativa Tilalt di Abardac. Le localizzazioni per realizzare i due pozzi orticoli sono in località Kimtchi Fatima, a 4 chilometri a sud di Abardac e in località Timki, a 1 chilometro a ovest di Abardac. Il pozzo per bere, invece, è stato realizzato presso la scuola avviata a 5 chilometri a ovest di Abardach, in località, appunto, Ouadi Tissumma, ed attualmente è in monitoraggio data la composizione di quel particolare territorio. Per seguire i lavori nel dettaglio e le attività di formazione per la popolazione locale all’uso dell’acqua, si è recato in Niger già a maggio l’associato di Mondo Tuareg Sidi Moussa, fermandosi per oltre 2 mesi nella zona, nonostante in Niger si sia prefigurata in questi ultimi tempi una situazione che ha visto, fra le altre cose, l’introduzione del coprifuoco nella zona di Agadez, capitale dei Tuareg e la chiusura dell’aereoporto.
Marina Stroili

Ospiti

ANANISSOH
Sarà ospite a Pordenone lo scrittore togolese Théo Ananissoh (pseudonimo di Laté E. Lawson Ananissoh) autore del volume recentemente apparso in Italia (Morellini Editore) con il titolo “Lisahohé”, storia della riscoperta delle proprie radici. Un volume dove ancora una volta l’Africa s’impone con le sue contraddizioni e potenzialità. attraverso la scrittura di uno dei più significativi rappresentanti della nuova generazione di intelletuali del Togo. L’appuntamento con lo scrittore è previsto per il giorno 13 ottobre 2007 Woody Ristoro, Pordenone alle ore 18,00. All’incontro con Ananissoh, nato in Togo nel 1962 ed attualmente residente in Germania, e sostenuto dalla Provincia e dal Comune di Pordenone, nonché dall’UNESCO di Udine, parteciperà Kobla Bedel, consulente della Provincia di Pordenone per l’immigrazione.

POMPAS
Manuela Pompas, la nota giornalista conosciuta per i suoi studi sul paranormale ed autrice di numerose pubblicazioni sul tema, sarà ospite a Pordenone per presentare il suo ultimo libro dal titolo “Stress, malattia dell’anima” edizioni Tecniche Nuove. Si tratta di un viaggio dentro la coscienza alla scoperta di nuove armonie per superare quello che viene a ragione definito uno dei mali del mondo moderno.

L’incontro con Manuela Pompas si terrà il giorno 26 ottobre 2007 Palazzo Montereale Mantica, Pordenone alle ore 20,45 L’incontro con Manuela Pompas è sostenuto dalla Provincia e dal Comune di Pordenone, dall’UNESCO di Udine.

“Il mio intervento nel proporre questo libro è stato quello di sensibilizare le persone e di invitarle a dedicare un po’ di tempo a se stesse per imparare a scaricare ogni giorno lo stress, in modo da non accumulare più emozioni e tensioni, perlomeno quelle del quotidiano.”
Manuela Pompas (tratto da “Stress, malattia dell’anima” – ed. Tecniche nuove)

Ancora sul Niger
Il cinquanta per cento delle persone che vivono in Niger non sanno né leggere, né scrivere. Per aiutare la popolazione nella sua emancipazione, che principalmente riguarda le donne essendo esse oltre la metà della popolazione di quel paese, è nata la COP8, dove oltre ai problemi citati si affrontano anche la desertificazione e la povertà. Fra coloro che sono impegnati in questo senso ci sono Noura Fatchima, Boubacan Zalia e Djingarey Houana che stanno cercando partners finanziari per aiutare soprattutto le donne. Una di loro dice “Il Niger è un paese di donne, è un paese desertico che ha oltre tre quarti del suo territorio nel deserto”. In questa ottica sono nate anche due associazioni, la FEMJES e l’ANSEN, ambedue concentrate sull’attività di sensibilizzazione, educativa e di alfabetizzazione delle giovani donne del Niger.

Comunicazione Facilitata
E’ iniziato in questi giorni il corso per la formazione dei Facilitatori, coloro, cioè, che aiutano a comunicare attraverso la scrittura bambini ed adulti che non hanno la possibilità verbale di farlo. Il corso, che si concluderà nel marzo del 2008 con gli esami, prevede un impegno da parte dei frequentatori di due pomeriggi al mese circa, per conoscere teoricamente e praticamente i “segreti” di questa tecnica che si può ancora considerare d’avanguardia ed introdotta in Italia dalla ligure Patrizia Cadei. La Comunicazione Facilitata ha la sua ideatrice nell’australiana Rosemary Crossley che ha ideato il metodo per le persone cerebrolese, ma applicato ha dato i suoi frutti anche con bambini autistici e con altre patologie. A divulgarlo fortemente ci ha poi pensato Douglas Biklen, docente all’Università di Siracuse, nel Maine (USA), dove attualmente dirige un dipartimento specifico. Il corso, promosso dall’Associazione “via Montereale” e dal Liceo Leopardi-Majorana di Pordenone ha l’appoggio del Centro Servizi volontariato regionale. I docenti appartengono alla Cooperativa Intervento di Mestre e fra essi citiamo Sergio Vitali, Annamaria Zambon, Mara Sartori, Anna Dal Maso. Per informazione è possibile chiamare il numero 0434 363255.

“Anche se l’origine della parola è diversa nelle varie lingue, ne risulta sempre un bel cristallo di forma perfetta”
Masaru Emoto

Questione di codici
“Aiutate i bambini autistici ad uscire dal loro guscio!”. Così recita da diversi anni uno slogan che è stato infelicemente riesumato in occasione della Giornata Internazionale dell’Autismo prossima ventura. Io che sono autistico mi sono chiesto di quale guscio si stia parlando, che cosa sottintenda quella che è chiaramente una metafora. Se fosse il corpo? Molti hanno un aspetto niente male come il mio, perché mai dovrebbero desiderare di cambiarlo? Non esiste una facies autistica né un colore autistico che ci distinguano e dunque? Sono giunto alla conclusione che non del corpo, non di un aspetto meramente esteriore si parla: non si potrebbe generalizzare. Guscio=x… cosa sostituire allora all’incognita per trasformare l’equazione in una identità? Mi è venuta in mente certa letteratura ormai superata sull’autismo: guscio = mondo? Provate a rileggere lo slogan secondo la suddetta ipotetica identità e forse vi irriterete quanto me, tuttavia, non potendo pensare che nel 2007 si parli di autismo in certi termini, che si affermi ancora e sempre il dogma del “mondo” in cui l’autistico si rinchiude in volontario isolamento, ho dedotto che per poter dare il giusto significato allo slogan non basta conoscere la lingua italiana o le figure retoriche di cui è ricca, ma occorre il CODICE, non universalmente riconosciuto, che il pubblicitario ha usato, altrimenti il messaggio, al di là della sua correttezza, diventa comprensibile solo agli addetti ai lavori. Sono diventato indulgente? Certamente no, un messaggio su una questione di grande rilevanza lanciato attraverso i media non può limitarsi ad essere accattivante, ma ho tentato di capire senza dare giudizi aprioristici mai utili, tanto meno se parliamo di autismo. Ogni persona autistica ha un proprio codice comunicativo, quello che la sua condizione, spesso attraverso sforzi inumani, le consente, e, se veramente l’altro vuole comprenderla e aiutarla, è di tale codice che deve faticosamente appropriarsi, senza lasciare spazio a pregiudizi e luoghi comuni. Mission impossible? Provare per credere!
Giacomo De Nuccio
(testo scritto con la tecnica della Comunicazione Facilitata)

L’importanza della progettazione
Nei vari ambiti in cui si opera con l’autismo, tra gli operatori si parla di progettazione ovvero di una razionalizzazione del tempo passato con i ragazzi autistici che prevede un elenco degli obiettivi, una pianificazione degli strumenti utilizzati per raggiungerli, la valutazione delle difficoltà e delle abilità riscontrate nel corso dell’intervento. La finalità è quella di restituire alle istituzioni o ai genitori dei ragazzi un qualcosa di concreto su cui valga la pena investire. Durante l’ultima mia esperienza lavorativa, una vacanza per disabili di 15 giorni in una località turistica, ho potuto apprezzare molto il lavoro dei miei colleghi. In particolare quello di un collega che seguiva D. D. appena arrivato presentava un’autonomia scarsissima. Appariva chiuso in se stesso quasi volesse proteggersi da questa nuova esperienza. Non andava in bagno da solo e si rifiutava di muoversi se non accompagnato. Il suo sguardo era triste e sottomesso, guardava in basso e non sorrideva mai. Il lavoro del mio collega è stato quello di instaurare dapprima un rapporto di fiducia con lui, successivamente quello di stabilire una separazione graduale che portasse D. ad essere più autonomo. Il mio collega si è conquistato la sua fiducia. Aveva elaborato nel corso di alcuni giorni una ricettività al suo linguaggio e riusciva a capirlo. Non ha forzato la sua volontà ed ha favorito gesti spontanei creando in D. uno spazio protetto di azione. D. appariva sempre più sicuro, le azioni che svolgeva facilitato diventavano sempre più autonome. Nella parte finale della vacanza D. ballava insieme agli altri ragazzi nelle serate musicali, si spostava autonomamente e interagiva divertito! Quando chiedevano al mio collega che tipo di tecniche utilizzasse lui faceva capire che essenzialmente usava la sua sensibilità. Questa esperienza lavorativa mi ha fatto molto riflettere sul senso della progettazione. Pur riconoscendo una grande importanza alla progettazione ritengo che anche un grande progetto se non ha attori attenti e sensibili può rivelarsi poco efficace; può succedere al contrario che un progetto poco strutturato porti a grandi risultati, basti considerare infatti che in questa vacanza non c’era nessun progetto ed il fine era solo quello ricreativo!
Paolo Russo

Corrispondenza dal Madagascar

La capitale
Antananarivo sorge su decine e decine di piccole colline, e le strade e le case si inerpicano su di esse avviluppandole come rampicanti su di una pianta. Moltissime case multicolori dal tetto spiovente accanto a cubi di cemento, tutto alla rinfusa, tra macchie di vegetazione esotica, immondizie e ansia umana. L’architettura generale è come una specie di sogno esotico andato a male, come se i colori si fossero sdilinquiti, le forme frammischiate. Il clima tropicale corrode, degrada e trasforma tutto velocemente. Qui dura solo ciò che sa già di non poter durare: una capanna tradizionale malgascia è adattata a questo; una casa moderna di cemento non lo è. Una giovane donna magrissima e affaticata, vestita di stracci allatta un bambino di pochi mesi, accovacciata sul selciato di una galleria trafficatissima e dall’aria intasata da fumo nero, mentre per le strade sfilano moderni jeepponi giapponesi accanto ad inquinanti auto e furgoncini francesi degli anni ’50, quasi tutti vecchi diesel, uomini dal viso tirato corrono a piedi nudi sull’asfalto portando in testa casse di 30-40 kg riempite di frutta o altro. Ai lati delle strade, quasi sempre avvolte da una nera fuliggine, crescono bellissimi fiori tropicali di varie fogge e colori, rossi, gialli, viola. Lungo una strada principale super-trafficata e inquinata, due persone, con pazienza, dai muri di mattoni rossi scrostano delle scritte bianche sollevando nuvole di calcina. La scena è assurda. L’aria è sporca, ma intanto si pulisce il muro. Cani solitari, magri e spauriti si aggirano per la città. C’è un doloroso spaesamento nei loro occhi. Giorni dopo ho capito il perché. In Madagascar i cani sono considerati delle creature strane ed indegne, di cui non si ha nessuna simpatia, anzi, si prova un po’ di schifo. Per certi versi è paragonabile al sentimento culturale condiviso da noi per i ratti di fogna o gli scarafaggi. Ad Antananarivo, come in tutte o quasi le grandi città del sud del mondo, moltissime attività sono importate copiate pari pari dalla cultura occidentale, che presuppongono l’impianto organizzativo- tecnico proprio dello sviluppo occidentale contemporaneo. E’ evidente che sono, culturalmente parlando, un corpo del tutto estraneo, come mettere delle ali di passero ad un’aragosta. Da noi, il modo organizzativo-tecnico di guardare al mondo è il frutto di un lungo millenario cammino di pensiero e pratica, qui vi è stato appiccicato come una protesi dissonante; all’inizio imposto con laviolenza dalla cultura coloniale francese, ora mantenendosi da se stesso per le attrattive dovute alle lusinghe della comodità e alla meraviglia per gli oggetti della tecnica. Per esempio, tre donne che in un ufficio quasi deserto ci mettono mezz’ora per sbrigare l’affare burocratico con un vecchio computer, cambiarmi, cioè, dei soldi e rilasciarmi una ricevuta, perché non sanno bene come fare. Ad un certo punto si sono messe ridere anche loro. L’effetto è precisamente quello che danno i bambini quando, con atteggiamento grave, imitano le attività degli adulti come fare la mamma, o il poliziotto ecc. Così quando i malgasci fanno le tipiche attività degli occidentali, come gestire la burocrazia o i mezzi di trasporto meccanici lasciano trasparire il fatto che lo fanno per svariati motivi ma certamente non perché ci credono. Lo fanno perché così si ha un reddito in famiglia, come per i guidatori dei taxi-brousse, oppure perché si ha il gusto del potere, come per i militari del paese. Per tutte queste persone l’oggetto tecnico (il computer, il furgoncino, il mitra) non dice niente di più che l’essere un mezzo per un fine, ma non significa affatto l’appartenenza alla visione del mondo che sta dietro allo stesso oggetto.
Giamprimo Molinaro

“Celiachia, intolleranze, allergie alimentari:
800 ricette naturali, senza glutine, uova, latte vaccino, lievito”

di Teresa Tranfaglia (Macro Edizioni 2003)
Segni particolari: scienza, amore, tradizione. L’autrice commenta: “ Nonostante l’affettuoso e costante intervento di molti medici, nonostante le numerose visite ed i consigli ricevuti da grandi luminari, le condizioni di salute della mia piccina non riuscivano a cambiare. Mia figlia aveva compiuto tre anni e continuava a nutrirsi con un preparato chimico, un idrolisato proteico e qualunque altro tentativo di alimentarla risultava un fallimento. Nell’aprile del 1989, un incontro casuale con il maestro macrobiotico N. Muramoto pose i presupposti per una “conversione di marcia”. Il primo maggio 1989 la riprova. Infatti, il latte di riso macrobiotico si dimostrò il primo alimento “perfetto” per l’intestino della dolce paziente. Ella riuscì ad assumerlo senza accusare alcun problema. Da allora la nostra vita è cambiata. Da allora abbiamo seguito i principi della macrobiotica rivisitati nella versione senza glutine e senza caseina vaccina affiancando ad essi nel tempo i canoni Kusminiani e Ortomolecolari. E’ risaputo che da secoli la tradizione culinaria macrobiotica insegna all’occidente come risolvere problemi di salute anche gravi. Il contesto macrobiotico nell’adattamento senza glutine e senza caseina si rivela ottimale per una situazione di mucosa intestinale danneggiata per immunodeficit o per altri motivi. Molti attacchi alla mucosa intestinale provengono da insulti ambientali di vario tipo come vaccinazioni, intossicazioni da metalli, assunzione di cortisonici, antibiotici, antinfiammatori, dieta inadeguata ecc.. La dieta macrobiotica programmata su misura per i problemi di mia figlia precedeva inizialmente un ristretto numero di alimenti consigliati dal maestro Muramoto e indicati anche in una tabella che trovai nel suo libro “Il medico di se stessi” (ed. Feltrinelli). Nel mio testo ho modificato l’originale tabella ricavandone altre sia orientative che specifiche per gli intolleranti. Al riso integrale cotto e passato a setaccio univo foglie verdi e radici, con cautela introducevo un po’ per volta altri alimenti. Fra questi alcuni risultarono le pietre miliari per la salute di mia figlia: il kuzu, le umeboschi, la zuppa di miso di riso. Il kuzu è una radice che si rivela un toccasana per le infiammazioni intestinali. Le umeboschi oltre ad aiutare il ciclo di krebs sono enzimatiche e quindi favoriscono sia la digestione quanto il lavoro del fegato. La zuppa di miso di riso aiuta il sistema immunitario e ridona all’intestino un’ottimale flora batterica. Le leguminose quali azuki Hokkaido e lenticchie rosa decorticate sono state le prime proteine di mia figlia. La zucca la regina tra gli ortaggi, l’olio di sesamo come condimento, la mela cotta con il kuzu la sua prima frutta, semi oleaginosi e tahin per il calcio necessario alla crescita. I risultati sono stati molto soddisfacenti: non solo la permeabilità intestinale che riguarda la bimba è diventata un lontano e sfumato ricordo, ma ne ho tratto anch’io vantaggio in quanto mangiando come lei, sono molto migliorata da una malattia autoimmune. La mia storia m’insegna a non essere mai chiusa ai vari ambiti culturali e a raccogliere da ognuno gli insegnamenti validi. Infatti, ho avuto la fortuna di comprendere che le informazioni dei medici dei vari centri ospedalieri erano “giuste” (niente glutine-niente caseina) ma i principi erano fallimentari, perché basati su alimentazione industriale e prodotti chimici e ciò non riportò la mia piccola alla guarigione, mentre i principi dell’alimentazione macrobiotica erano “perfetti” per quel che riguarda la provenienza e la qualità degli alimenti (cereali integrali in chicchi, biologici adeguati metodi di cottura ecc) ma l’interezza applicativa (orzo-frumento-segale avena –farro-Kamut cereali con glutine) avrebbe danneggiata la mia piccolina che presentava intolleranze multiple. L’aver unito le informazioni scientifiche ai sani principi della macrobiotica è stato provvidenziale. Ho inoltre compreso che prima ancora di focalizzare l’attenzione sulla sintomatologia specifica e cercare terapie farmacologiche per la malattia, sia essa artrite reumatoide, epilessia, sterilità psoriasi, autismo, schizofrenia, asma tiroidine o altra, è necessario chiedersi in che condizioni è il nostro intestino, in che condizioni è la mucosa intestinale. Una volta risolto tale problema con pazienza, attenzione e dedizione attraverso una via naturale del tipo alimentazione macrobiotica senza glutine e caseina, molte fra queste patologie migliorano, altre scompaiono. Molte ricette che il mio testo riporta sono utili per migliorare lo stato alterato della mucosa intestinale, altre invece sono più adatte a coloro che hanno intolleranza a glutine e caseina, ma hanno già risolto gli importanti problemi gastroenterici. Numerosi rapporti scientifici avvertono l’uomo moderno che il consumo di cereali e zuccheri raffinati, l’eccesso di proteine animali, di latticini e formaggi, di additivi e pesticidi insultano seriamente la salute. Credo che oggi ritenersi uomo moderno, informato, quindi consapevole, significhi anche comprendere ciò”.

Anno VI – N.2 maggio 2007

L’India al femminile – Mostra a Pordenone

Cosa sappiamo delle donne indiane?
I mass media ogni tanto ci parlano di un paese con più maschi che femmine, anomalia peraltro condivisa con la Cina e dovuta alle “nascite selettive”, di spose bambine o giovani sfregiate perché non accondiscendenti, di mogli bruciate per acquisirne la dote o vedove costrette a vendersi a coloro che dovrebbero assisterle, e tanta violenza, oppressione, sfruttamento nel nome di una tradizione più o meno millenaria, tradizione poi spesso vista, con una malintesa politically-correctness, come qualcosa dove non si deve interferire. Certo è tutto ancora vero, ma è pure ben difficile avere notizie degli importanti progressi conseguiti negli ultimi anni. Del resto i media privilegiano tutto ciò che può meglio colpire la sensibilità emotiva di un pubblico “occidentale emancipato” destandone l’indignazione e conseguente compassione verso il povero mondo femminile indiano così arretrato.
Ma i tempi stanno cambiando più velocemente di quanto immaginabile e le nostre menti faticano a tenere il passo abdicando a certezze non più tali; l’economia insegna. Oggi, grazie all’essenziale impegno delle organizzazioni femminili indiane, non v’è villaggio, anche il più sperduto, che non sia stato
raggiunto e dove le donne non siano state sensibilizzate, non solo sull’alfabetizzazione o su igiene e sanità, ma soprattutto sul loro valore, la loro potenzialità e quindi sui loro diritti, in primis la libertà di scelta. Certamente non è che l’inizio, l’India è un paese di oltre un miliardo di abitanti dove il 70% vive nei villaggi e non più dell’1% gode appieno dell’attuale boom economico, ma la via è ormai intrapresa e grazie proprio a questa rivoluzione informatica, anche nelle lande più remote le donne possono accedere ad un computer, comunicare, informarsi ed organizzarsi. Le donne si aiutano, lo stato interviene con quote rosa e leggi d’avanguardia, e pure il micro-credito fa la sua parte, tutti fattori che le stanno portando ad un’indipendenza economica peraltro non sufficiente a far valere i propri diritti, almeno in India, ma in ogni caso oggi oltre un milione di donne, per fare un esempio, coprono posizioni di rilievo nei panchayat, i consigli di villaggio, principale roccaforte del patriarcal-maschilismo, e non con cariche di facciata tanto per soddisfare le leggi federali, no, sono donne che con piglio sicuro gestiscono il diritto locale

Claudio Nappo
(dalla Presentazione della Mostra)

Donne in carriera
Condividere l’appartamento con delle amiche, trascorrere una serata tra donne in un locale trendy, decidere se e con chi sposarsi: per noi occidentali sono libertà più che ovvie. Questi stessi traguardi, nell’ultimo decennio, hanno iniziato ad essere conquistati, passo dopo passo, anche da una parte dell’universo femminile indiano, ancora minima, ma in rapido crescendo.
Sono le working girls, le donne in carriera che si fanno strada nel mondo del lavoro e del business, contrastando nettamente la tradizione che le vorrebbe dedicate esclusivamente alla casa e alla famiglia. In un Paese totalmente contraddittorio qual è l’India, dove la storia ha registrato il passaggio di donne forti come Indira e Sonia Gandhi, e dove il Pantheon lascia ampio spazio a divinità femminili in grado di fornire protezione materna ma anche di esprimere forza e ferocia, il sistema patriarcale ha ancora basi solide e difficili da contrastare. Eppure, grazie al boom economico che ha interessato il continente indiano, in questi anni stanno emergendo queste nuove protagoniste: donne decise a vivere la propria vita, fuori dal cliché del destino matrimoniale, che si vestono e si comportano all’occidentale, sempre più consapevoli delle proprie potenzialità. Sono lontane dalle realtà rurali e misogine, fanno parte di quel nuovo ceto medio di indiani istruiti e dinamici i cui consumi sono il motore del mercato. Queste ragazze poco più che ventenni ritagliano la proprio autonomia, puntano su se stesse, mettono in gioco il proprio tempo e le proprie risorse, dedicandosi con passione al lavoro e all’approfondimento degli studi, spesso senza l’appoggio delle famiglie di origine – per le quali l’essere single per scelta è inaccettabile. C’e solo da sperare che il loro cammino non si riveli una vuota imitazione dell’occidente, con i suoi ritmi ed i suoi stress, ma che sia il lento maturare di una nuova Donna Indiana….
Marina Pontuti

Corrispondenza dal Madagascar
L’arrivo

Alle dieci di sera l’aereo, un grande Airbus, atterra ad Antananarivo. Sono partito da solo dall’aereoporto “Marco Polo” di Venezia, fatto scalo al “Charles de Gaulle” a Parigi, ed ora eccomi qui, nella capitale del Madagascar, dopo circa nove ore di viaggio intercontinentale. Il “Charles de Gaulle” è gigantesco, dalle forme avveniristiche, un tempio mondiale della tecnica e dell’organizzazzione razionale, dove milioni di persone da ogni angolo della Terra e dai colori più diversi si muovono tra architetture spaziose e asettiche, tra scale mobili e macchinari perfetti, lucidi, quasi tutti grigi. Anche i vari inservienti, hostess, piloti, addetti alla sicurezza sono perfetti, belli, essi stessi organizzati nei loro movimenti e nel loro tempo, degli automi di carne. È lo splendido trionfo dell’Organizzazzione Tecnica.
L’aereoporto di Antananarivo invece è null’altro che un accogliere e far ripartire aerei ed è esclusivamente pratico. Non si è più nel regno del “concetto”, semplicemente perché in Africa il primo guardare il mondo non è attraverso un “concetto”, una idea, come da noi, ma attraverso un’impressione sensitiva, uno stupore iniziale, arcano, che velocemente si fa corpo attraverso la gioia o la paura etc. e che non si verifica allontanandosi dal corpo in un dichiarato oggetto della mente, processo che noi definiamo come “concettualizzare”. Anche negli addetti alle varie funzioni, che si muovono tra spazi e banconi risalenti agli anni ’60, c’è lo svolgimento pratico delle loro mansioni, ma senza il gusto per l’efficienza tecnica e l’organizzazzione, ma con la serietà di colui che vuol fare bene qualcosa che gli risulta estraneo, non fatto proprio. Naturalmente fin da subito si respira un vivere il tempo differente, più dilatato. Il “concetto di tempo”, che ancora noi diamo come universale nella nostra cultura, è qui utilizzato per fini pratici, come la tecnica, ma rimane qualcosa di estraneo, proprio perché qui non esiste. C’è l’accorgersi del fluire esperenziale del proprio vissuto, ma questo non si cristallizza fino a farsi “concetto di tempo”. Decine e decine di tassisti si accalcano all’uscita dell’aereoporto attorno a noi stranieri, a noi “vasà”. Centinaia di volte mi fermeranno per strada, o mi saluteranno, o mi chiederanno soldi chiamandomi “vasà”. Qui, prima di qualsiasi altro ruolo, sono lo straniero. Il termine “vasà” non è cattivo né razzista, ma mostra della diffidenza e visto che la recente dominazione francese nel paese non è stata indolore, è comprensibile.
Poche luci. Ai lati della strada per arrivare al centro città regna il buio. Le case, in muratura, hanno il tetto a punta molto spiovente, una via di mezzo tra case paesane francesi e archittettura tradizionale indonesiana. Strette, schiacciate tra loro quasi contorte, sono fatiscenti, e questo di notte emana un incredibile fascino da fiaba oscura, una specie di gotico tropicale.
Giamprimo Molinaro

Ancora su “l’India al femminile”
Urvashi Butalia inaugura la mostra a Pordenone
Ospite nella nostra città per l’inaugurazione della mostra al Chiostro superiore di San Francesco sarà la scrittrice indiana Urvashi Butalia, nata nel 1952 nel Punjab, vive a Delhi. Scrittrice, editrice, storica, dopo aver studiato in India ed Inghilterra insegna presso l’Università di Delhi. Nel 1984 fonda la prima ed unica casa editrice indiana femminista “Kali for Women” ora trasformatasi in “Zubaan”. Frequentemente invitata da organizzazioni femminili, università, istituzioni, all’ONU, è molto attiva in difesa dei diritti civili e scrive oltre che su numerose pubblicazioni indiane anche su The Guardian, Granta, Lettre International. Il suo best-seller tradotto in una decina di lingue « The Other Side of Silence : Voices from the Partition of India » è stato premiato con Nikkei Asia Award e l’Oral History Book Association Award. È, inoltre, stata insignita del Cavalierato per le Arti e Belle Lettere dalla Presidenza francese. Attualmente sta scrivendo la biografia di un eunuco.

Peccati altri
Non sono quelli canonici per cui chi Crede, compiendoli, potrebbe candidarsi ad un viaggio infernale. Sono piuttosto talune sottili mancanze che segnano il nostro comportamento diventando macigni.
• Crede che chi non parla, non abbia niente da dire.
• Magnifica il silenzio, ma parla troppo a vanvera.
• Per ciascuno ha una verità ed una bugia.
• Non ascolta le ragioni del corpo.
• Costruisce trappole per orsi, ci cade dentro e, per uscire, chiede aiuto al plantigrado.
• La mamma sgrida la bimba che picchia le bambole senza parlare con uno specialista.
• Recidivo, piange lacrime di coccodrillo promettendo che non giocherà più al Casinò.
• Ripete lo stesso schema di gioco perdente: sfida, attacco, sfondamento, fuga travolgente, timore dell’inseguimento.
• Scansa la mischia e se qualcuno si fa male, fa finta di niente.
• Fingendosi maga e curandera provoca ed alimenta assurde paure.
• Traditore, fa una veloce marcia indietro e si pente piangendo. Viene fucilato, perché vile due volte.
• Cancella di colpo persone e relazioni scomode con uccisioni metaforiche.
• Deve possedere a tutti i costi ciò che non ha, per poi gettarlo via.
• Mette in atto comportamenti drammatici e teatrali per manipolare il mondo.
• Maschilista Mascherato: ha un comportamento discordante con l’impegno per le pari opportunità .
• 8 Marzo 2007: tratta le donne peggio di prostitute e regala loro mimose virtuali.
• Ha cercato di baciare in ascensore la vicina di casa con l’alito di un avvoltoio.
• Ha dato in dono perle ad un porco.
• Meglio considerare pazza la moglie e cercare di zittirla, che guardare in sé e prendersi cura del rapporto.
• Vive di paura e difese: trasforma le sue fughe in persecuzioni, il dolore che causa in denuncia.
Marina Stroili

Alla ricerca del corpo perduto
La nostra storia personale si scrive ed esprime in maniera evidente e sensibile nel corpo. È così che il corpo, a volte dimenticato e muto, altre bistrattato e
spinto al limite delle sue possibilità, altre ricostruito e falsificato, addirittura plastificato, altre ancora demonizzato per il fatto di essere il canale privilegiato dell’espressione sessuale umana e del piacere, considerato spesso nella cultura generale del mondo occidentale come scisso dall’anima ed in alcuni casi trattato come “inferiore” in quanto caduco, parla a noi stessi e di noi stessi con il mondo esterno. Vivere ed esprimere la naturalità e la dimensione corporea non significa allora semplicemente mangiare correttamente, fare ginnastica, prevenire e curare le malattie e vivere il corpo come un insieme di organi, di tratti, di muscoli, di pelle coperta da bei vestiti, ma piuttosto di ascoltare e vivere la nostra corporeità in maniera sensibile e consapevole, partendo da ciò che sentiamo e viviamo a livello interiore, piuttosto che adeguarci a modelli e stereotipi precostituiti. Qualche volta è necessario partire alla ricerca di un benessere perduto, come nel caso dei disturbi alimentari, imparando da zero o imparando di nuovo a percepire le emozioni, i sentimenti, i piaceri, i dolori, i limiti ed i messaggi del corpo per instaurare un dialogo funzionale con il mondo. E per rispondere ad una grande domanda: chi sono?
M.S.

Masaru Emoto a Pordenone
Grande successo di pubblico per Masaru Emoto (foto), lo scienziato giapponese ospite della nostra Associazione per celebrare a Pordenone la giornata internazionale dell’Acqua, il 22 marzo scorso. Emoto ha parlato dell’intelligenza dell’acqua, bene prezioso per l’umanità, verso il quale deve cambiare il nostro atteggiamento, puntando ad oculatezza e rispetto nel suo uso. La caratteristica di Emoto è quella di aver reso visibile l’intelligenza dell’acqua grazie alle fotografie dei cristalli. Ha così dimostrato come l’acqua accolga informazioni di tipo diversissimo che vanno dalla musica, alla parola e perfino al pensiero, anche quello negativo.
Non solo, ma l’acqua può essere “instradata” anche per la guarigione attraverso le vibrazioni positive espresse da opportune parole. Nella sua affascinante esposizione non sono mancate le visualizzazioni dei cristalli d’acqua che sviluppano le loro forme sentendo, per esempio, brani di musica del melodramma italiano.

Sergio Vuskovic Rojo e il suo Platone
Il gazebo Woody di Pordenone ha ospitato la presentazione dei due volumi editi in Italia dello scrittore cileno Sergio Vuskovic Rojo. Uno dei due volumi, intitolato “Un viaggio molto particolare” (traduzione di Carla Carbonera) nel quale l’autore, docente di filosofica all’università di Valparaiso, racconta con impronta filosofica la condizione della mente durante la tortura (esperienza subita da Vuskovic durante l’incarcerazione dal regime di Pinochet) è edito dall’Associazione “via Montereale” nel quadro della sensibilizzazione verso le culture lontane. Il quaderno si può richiedere direttamente presso la libreria oppure al numero 0434 363255.
Il secondo volume , intitolato “Breviario di Platone” (traduzione di Paolo Ghiotto Marin) ripropone una moderna visione del grande pensatore. I volumi sono stati presentati a cura dell’Ambasciata del Cile, a Roma, il 24 maggio 2007.

Testimonianza autismo, un inserimento a scuola
Definire l’autismo è descrivere con le parole sentimenti, emozioni, desideri, bisogni, rabbia, amore in un senso che non può spiegare l’immensa mole di contenuti che
si cela dentro a chi è autistico. Il risultato del definire e già di per sé un porre le distanze, un giudicare qualcosa per misurarlo, per liberarci dall’ansia, ma a volte anche un modo per poter riporre le difficoltà del non capire nel “non può fare o dire”. Grazie a questa consapevolezza il mio intervento di inserimento scolastico si è basato più sul “sentire” l’autismo, le esigenze e le disposizioni verso una metodologia anziché un’altra, nell’accostarsi alle attività.
Ho svolto un tirocinio post laurea con una ragazza autistica in un istituto superiore. Qui presento una sintesi del mio progetto di inserimento alle attività scolastiche
di M. Lo scopo del mio lavoro è stato quello di costruire un protocollo di intervento per il suo inserimento nelle attività scolastiche. Per protocollo intendo un insieme di regole condivise da adottare per garantirle una proficua partecipazione alle attività scolastiche. Alla base della costruzione del protocollo ho creato un
progetto che ha coinvolto sia le figure scolastiche di riferimento, quindi gli insegnanti di sostegno, sia gli operatori, esterni all’istituto, che seguono M. nelle attività. Lo strumento che ho adottato per la costruzione del protocollo è stato l’osservazione sistematica della sua partecipazione alle attività.
L’osservazione mi ha permesso di focalizzare il suo comportamento. Ho potuto promuovere degli interventi, di volta in volta condivisi con gli insegnanti, per poter procedere alle attività successive all’osservazione, per contenere più possibile comportamenti non adeguati e favorire invece quelli utili ad un suo proficuo inserimento. In psicologia la letteratura afferma che l’interazione con un ragazzo che presenta un quadro diagnostico come il suo abbisogna di regole di comportamento. Avere aspettative alte, usare un approccio positivo, evitare di alzare la voce o di strattonare sono solo poche di quelle regole adeguate per la
gestione di un ragazzo autistico. Le regole però non sempre sono facili da applicare e soprattutto le caratteristiche diagnostiche variano da persona a persona; per questo nel mio progetto ho previsto nell’inserimento alle attività la promozione della relazione tra M. e gli insegnanti di riferimento. Risulta molto importante per esempio il come alcuni insegnanti abbiano instaurato un rapporto davvero adeguato con M. quasi a sostituirsi all’operatore che la seguiva.
Questo è stato possibile per una propensione di alcuni a cercare il contatto superando la paura che a volte è un limite all’intervento. Il risultato è stato ottimo: M. cercava gli insegnanti quasi a volere delle conferme ed ha prodotto rispondendo alle loro richieste un lavoro grafico autonomamente; paradossalmente più era autonoma e più alto era il suo rendimento. Il mio lavoro però non era orientato solo all’individuazione di “regole” per poter interagire con lei ma anche alla promozione di quegli aspetti che emergono durante l’osservazione. La promozione di tutto non è sempre possibile però, il “portare alla luce”, sue potenzialità, magari non considerate, risulta a mio avviso molto importante per interventi successivi. Lo spazio per far ciò esisteva grazie alle competenze ed all’entusiasmo degli insegnanti di sostegno, dell’operatore socio sanitario che collaborava con me nelle attività e alla disponibilità di tutti gli insegnanti responsabili e referenti
ai laboratori e alla collaborazione con operatori esterni alla scuola e la famiglia. In questo quadro quindi l’osservazione meritava un posto privilegiato perché è stato lo strumento per individuare ciò che si può migliorare. Individuare le cose che funzionano ed utilizzarle. Indagare come migliorare ulteriormente ciò che risulta adeguato al fine di poterle permettere lo svolgimento, degli stessi compiti dei suoi compagni, in modo proficuo.
L’intervento parte anche dalla mia convinzione che favorire abilità “sommerse” abilita e rende consapevole la persona autistica delle proprie competenze. Lavorare indirettamente sull’autostima e rinforzare ciò che è adeguato rappresenta un connubio a mio avviso vincente. In base a queste premesse un protocollo non può non
essere dinamico, in quanto un insieme di regole fisse produrrebbe un lavoro stantio da aggiornare di volta in volta. È stata mia intenzione quindi quella di scrivere
un diario in cui annotare le osservazioni, i miei interventi (le strategie utilizzate come il modellamento ecc.) e le mie interpretazioni. Un diario utile a riflettere sul
percorso che ho intrapreso e sull’evoluzione del suo modo di approcciarsi alle attività. Un particolare molto rilevante di questa esperienza scolastica è stato il constatare che i compagni hanno capito lo sforzo e l’impegno che M. impiegava. Un giorno alla fine dell’attività scolastica, una ragazza chiede all’insegnante di mettere il voto anche a M.! L’insegnante giustamente pretende di vedere il lavoro compiuto prima di giudicarlo. Constatare il come i compagni instaurino un così bel tipo di rapporto con lei mi fa molto riflettere sull’importanza che ha per la classe avere una ragazza autistica e sull’importanza che ha trovare un “valido” modo per farle esprimere le sue competenze.

COSA HA FUNZIONATO (PROTOCOLLO)
Durante il periodo in cui ho seguito M. ho appurato l’importanza che risiede nell’atteggiamento dell’operatore nel disporla bene alle attività. In particolare ha funzionato avere aspettative alte, usare un approccio positivo, non aver permesso che i comportamenti negativi abbiano avuto successo nell’evitare lo svolgimento di un compito; tenere sempre presente che è una persona con sentimenti, motivazioni; cercare di instaurare un rapporto coerente e di fiducia con lei.
Paolo Russo

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